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Massimo Carlotto intervistato da Paolo Petroni

Massimo Carlotto forse non sarebbe nato come scrittore se un fatto non avesse completamente rivoluzionato la sua esistenza, modificato il corso della sua vita. Nel gennaio del 1976, a casa sua a Padova, fu uccisa, con cinquantanove coltellate, una studentessa di 25 anni e seppe di esser accusato dell'omicidio: da quel momento in poi divenne latitante. Costretto forzatamente all'esilio dovette scomparire al mondo sino a che non fu fatta luce su quest'omicidio; sicuro di esser innocente, dopo molti anni, tornato in Italia per attendere la sentenza finale, fu pure propenso al suicidio se per caso non avessero riconosciuto la sua non colpevolezza. Il "caso Carlotto" fu un _caso unico ed irripetibile_, il suo caso giudiziario fu soprannominato la /sfiga giudiziaria/, ma proprio da quest'esperienza forzata tra atti giudiziari, fughe, malattie, distruzione di affetti, nasce uno scrittore straordinario. La sua esperienza infatti, se pur fortemente negativa, lo conduce alla scoperta dell'umanità, della necessità di solidarietà. Arrivata la grazia (richiesta dai suoi genitori, poichè lui, in quanto innocente, si rifiutò di richiederla - "la grazia si richiede per i colpevoli", afferma), si affacciò ad un terrazzo e pensò: "Devo smettere di fumare". Era il 1993 e con questa riflessione inizia finalmente a pensare al futuro positivamente e scrive "Il fuggiasco" - dal quale si sta preparando un film che uscirà nelle sale cinematografiche italiane a febbraio del 2003. In seguito darà il via alla quadrilogia dell'"Alligatore" (sta preparando la pubblicazione del quinto racconto che sarà in libreria a settembre di quest'anno "Il maestro di modi" ovvero la doppia vita della gente, molto diverso dai primi "Alligatore"). L'Alligatore pare una sorta di suo alter-ego, poichè è amante del blues, del Calvadòs e tabagista accanito proprio come Massimo, con la differenza, dice lui, che Marco Buratti (l'Alligatore) non tiene bene il Calvadòs. L'amico di Marco Buratti, Beniamino Rossini, esiste veramente; naturalmente ha un diverso nome ed è un vero amico di Carlotto: furono "ospiti dello Stato" insieme. Un grande aiuto in tutti i sensi per lo scrittore e per l'uomo Carlotto, un ex contrabbandiere saggio e sagace.

In apertura dell'intervista Paolo Petroni pone una domanda sulla certezza a Massimo, citando una parte finale del libro "Arrivederci amore, ciao" dove si legge una riflessione del protagonista il quale dice che sa di aver commesso un errore e non si sente sicuro: possono sentirsi sicuri soltanto coloro che sanno di esser in regola con la giustizia e le istituzioni.

Carlotto risponde che invece, nonostante fosse certo di non essere un assassino, negli anni di esilio non si sentì mai sicuro, ma in quegli anni capì anche di non essere interessato alla "verità istituzionale" e di aver conosciuto tante persone che desideravano far conoscere verità anche quando della verità non importava più nulla a nessuno. Si chiede ancora oggi, ironizzando, se sia mai stato un buon latitante. All'esilio politico internazionale deve tutto e conoscendo tanti stranieri latitanti come lui, scoprì pure che la sua storia era soltanto una piccolissima insignificante storia rispetto a quella di tutte queste persone, tanto che negli anni a seguire, ogni volta che gli si domandava "Ma cosa ti è capitato?" lui rispondeva "Nulla di particolare".

L'intervistatore prosegue cercando di evitare di parlare troppo del suo caso, poichè è convinto che ormai si possa parlare di Massimo soltanto come scrittore e che probabilmente questi discorsi non gli siano poi tanto graditi.

Carlotto risponde che per fortuna è passato molto tempo da quando, per la strada, lo riconoscevano soltanto come "Il caso Carlotto" nonostante avesse già pubblicato più di un libro.

Carlotto, prosegue Petroni, è definito scrittore di genere "Poliziesco Mediterraneo" dato che si occupa di traffici illegali soprattutto tra la Francia, l'Italia e la Spagna, ma perchè scrivendo dell'Italia, ha scelto proprio il Nord Est?

Beh, Massimo Carlotto è nativo di Padova e, dice, il Nord Est è il laboratorio criminale per eccellenza e cita, senza farne il nome, una famosa ditta del Veneto produttrice di jeans dove, dopo il taglio del tessuto, la confezione è affidata a laboratori clandestini: cinesi e croati che lavorano in condizioni di quasi totale schiavitù per confezionare nel minor tempo ed a costi bassissimi il maggior numero di capi, i quali poi ritornano all'azienda soltanto per l'applicazione dell'etichetta di marchio e passano al commercio. Economia legale + economia criminale è uguale a mafia, mafia cinese e croata soprattutto. Ci racconta anche che un imprenditore veneto, colto in flagrante sfruttamento di extracomunitari nel suo laboratorio, si giustificò dicendo che in fin dei conti i cinesi sono abituati a vivere così e che non c'era nulla di male. Questo fatto conferma le tesi di Carlotto: l'imprenditoria mafiosa non è quasi riconosciuta come crimine, secondo lui infatti, la malavita di oggi è molto più radicata nel potere, soprattutto politico: se un tempo, il contrabbando (per esempio nel Mediterraneo) era legato a piccole organizzazioni criminali, oggi invece si avvale di appoggi imprenditoriali o politici, magari di entrambi. Ma... ci ricorda Massimo, i più grossi movimenti criminali passano inosservati, perchè la cronaca ci stordisce di fatti di sangue che attirano molto più l'attenzione e così ci distraggono e ci travolgono con casi come il più recente di Cogne, facendo proseguire le arringhe addirittura al di fuori delle aule di tribunale.

Paolo Petroni rivolge un'ottima domanda ora a Massimo Carlotto: come scrive uno come lui che praticamente narra cose vissute in prima persona? Ha già tutto il romanzo ben costruito nella mente oppure gli eventi gli si creano narrandoli uno ad uno.

Il metodo di Carlotto è molto più tecnico di quanto si possa pensare leggendo i suoi libri: innanzi tutto quando inizia a scrivere, ha già deciso il finale della storia, questo perchè prima di stendere il testo vero e proprio, fa una vera costruzione della trama, suddividendola per i suoi periodi di durata, i mesi, i giorni e perfino le ore. Per esempio
ha ben chiaro che quel tal giorno di quel tal mese, dalle 13 alle 16 l'Alligatore sta dormendo, o mangiando. Poi pensa alla trama per mesi e mentre la pensa non la scrive finchè non l'ha costruita completamente. Finalmente si piazza davanti al PC e scrive tutto il libro.

L'intervista si dirige ora verso un decisamente diverso scritto di Carlotto "Le Irregolari". Cosa ha spinto Massimo ad occuparsi di un caso del genere.

Fu una vera combinazione a metterlo al corrente dell'esistenza di queste Madres: durante il suo esilio, soprattutto a Parigi, conobbe molti argentini e ricordò che suo nonno, da ragazzo fu uno dei tanti emigranti italiani in Argentina, ma ricordò pure che suo nonno non gli disse mai nulla di questo paese, quindi, vincendo un premio per "Il fuggiasco", spese questi soldi per un viaggio in Argentina alla ricerca delle tracce che poteva aver lasciato suo nonno. Registrandosi all'albergo in cui era sceso in Buenos Aires, l'albergatore gli chiese se per caso fosse un parente di Estela Carlotto. Lui non sapeva nulla di quel che accadde durante gli anni di dittatura militare in Argentina, nulla come quasi il mondo intero, ma da quel giorno scoprendo di alloggiare proprio di fronte alla "sede operativa" delle Madres, seppe e conobbe di tutti i fatti. A tutt'oggi con Estela Barnes de Carlotto ha un rapporto zia/nipote.

In chiusura c'è la possibilità di fargli qualche domanda e dal pubblico un uomo sulla sessantina si avvicina al microfono e quando inizia a parlare ci accorgiamo tutti del suo accento ispanico: gli pone questo domanda: "Ma lei arrivando in Argentina non si è mai chiesto nemmeno per un momento come mai non ne sapesse nulla delle Madres e come mai in quegli anni (1977/1983) non fosse arrivata in Italia nessuna notizia sul golpe e su quanto fatto ai sequestrati poi desaparecidos? E chi poteva aver avuto interesse ad occultare al mondo un massacro simile?".

A questo punto Carlotto ci parla molto di politica, fa dei legami e sovrapposizioni di fatti che occorsero durante quegli anni in tutto il mondo e di come perfino l'Ambasciata Italiana in Argentina "chiuse fuori la porta" i problemi di quel popolo, fatto anche di gente di origine italiana. Denuncia con suo primo stupore il disinteresse della sinistra, racconta delle guerre in corso durante quegli stessi anni, in oriente, ma infine si compiace che dall'inizio degli anni novanta ad oggi, come lui, molti scrissero, documentarono ed ancora oggi raccolgono testimonianze e fondi per questa causa. Perfino la rappresentazione teatrale "Più di mille giovedì", realizzata da una compagnia teatrale di Cagliari (città in cui vive ora Carlotto) che già lavorava pro Madres, è una raccolta di fondi. Grazie al viaggio-esperienza di Carlotto, insieme a lui decisero di mettere in scena il testo "Le Irregolari" attraverso il monologo intenso e struggente di oltre sessanta minuti dell'attrice Gisella Bein. Ogni giovedì ancor oggi, le Madres si riuniscono in Plaza de Majo, ma ogni giovedì sono sempre di meno. Le Madres stanno morendo di vecchiaia una ad una, ma la loro voce, grazie a tante iniziative come questa, non cesserà mai di gridare tutto il dolore e la rabbia che portano nel cuore.

Evelina Rinaldi 14 apr. 02

CARLOTTO, PROCESSO ALLA GIUSTIZIA - Alessandro di Bussolo
(Avvenire, 7-04-1994)

Un anno fa il presidente della Repubblica Scalfaro, firmando il provvedimento di grazia chiesto dai genitori, ha cancellato dieci anni di carcere che Massimo Carlotto avrebbe ancora dovuto scontare per l'omicidio di MArgherita Magello, avvenuto nel Gennaio del 1976. Il protagonista del più clamoroso caso giudiziario, 11 processi, 86 giudici, due revisioni con esito opposto, la mobilitazione di un comitato internazionale innocentista. Oggi ha 37 anni, è dimagrito di trenta chili (ma ne pesa ancora cento, si è fatto crescere la barba, si porta dietro un dismetabolismo cronico, ma confida che mesi di cure hanno attenuato gli effetti di 17 anni di stress e carcere. Produce spettacoli e dischi, ma soprattutto si sta dedicando a << completare la vicenda giudiziaria, per dimostrare quanto parziale sia stata la ricerca della verità da parte delle corti d'assise >>. Un primo libro (il Fuggiasco) è già pronto, e il secondo, un romanzo giallo << con un delitto e un imputato >>

-FINORA NON HA VOLUTO << SFRUTTARE >> LA POPOLARITA', PERCHE' ORA QUESTI
LIBRI?

Perchè la giustizia non ha memoria, ma solo sentenze, numeri sigle. Ho fatto la mia battaglia giudiziaria anche pensando agli altri e al progresso della giustizia in questo Paese. Con la grazia non ci sono stati vincitori, non ha vinto nè la giustizia nè il sottoscritto, ma certo la mia non è stata << una storia dignitosa per la giustizia italiana >>, come hanno scritto i giudici del secondo processo di rinvio (che il 27 marzo '92 hanno confermato la condanna a 18 anni di carcere, ndr). Questo è il momento del chiarimento:nel primo libro spiego il perchè del mio comportamento processuale, il mio voler essere sempre freddo, distaccato, per obbligare i giudici a muoversi sul terreno razionale e no emozionale. Non ne ho mai parlato ai giornali.

- NON E' STATO UN COMPORTAMENTO "UTILE" AI FINI PROCESSUALI...

I miei difensori me l' hanno sempre detto, sono stato il peggior nemico di me stesso. In corte d'assise, soprattutto i giudici popolari, pretendono un imputato che sia una via di mezzo tra Totò e Alberto Sordi, infinitamente ridicolo ma anche infinitamente drammatico. Chi si comporta in altro modo è scomodo e antipatico e io lo sono sempre stato. Mi hanno chiamato commediante? Ma non si sono mai chiesti chi ha fatto sparire i reperti a mio favore (il fustino con tracce di sangue non di Carlotto nè della vittima, il capello tra le unghie di Margherita Magello, n.d.r.). Andiamo alla sostanza delle cose! >>

- NEL LIBRO PARLA ANCHE DEI DUE ANNI DI LATITANZA IN MESSICO. PERCHE' QUELLA FUGA?

E' stata la difesa della libertà, il modo di chiarire la differenza tra diritto e quella giustizia. Ma non è stata una fuga: in carcere ci sono tornato spontaneamente.

-HA SEMPRE SOSTENUTO DI AVER TROVATO MARGHERITA MAGELLO MORENTE, MA VIVA, E DI ESSERE FUGGITO IN PREDA AL PANICO. PERCHE' NON HA DATO L'ALLARME SUBITO?

Sono colpevole di omissione di soccorso, l'ho sempre detto e mi porterò questa colpa addosso per tutta la vita, ma non mi si può accusare d'altro. So però che è successo a molti testimoni: non si può pretendere che tutti i cittadini siano John Wayne.

-IL SECONDO LIBRO SARA' INVECE UN ROMANZO, UN GIALLO...

Leggerò la realtà di un processo attraverso gli occhi e la mente di una corte d'assise, per mostrare quanto sia parziale e viva in un mondo tutto suo. Molto sarà giocato sulla dialettica tra colpevolisti e innocentisti. Ma il libro vuole essere anche una provocazione verso chi, e c'è stato anche un giudice tra questi, ha parlato dell'omicidio Magello come un romanzo nero, un giallo di Agatha Christie. Una logica pericolosa.

- LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO DI STRASBURGO DEVE ANCORA ESAMINARE IL SUO RICORSO CONTRO LO STATO ITALIANO PER UNDICI VIOLAZIONI. COSA SI ASPETTA?

Io so solo che la giustizia non poteva processarmi due volte all'interno dello stesso grado di giudizio, come è stato fatto in sede di revisione, quando le due corti hanno dato una lettura opposta degli stessi fatti. Ma i tempi di risposta saranno ancora lunghi. Mi resta però la soddisfazione di vedere che le due sentenze della Cassazione (che ha concesso la revisione del processo, sentenza 203 del 1989, n.d.r.), e della Corte costituzionale (sentenza 311 del 1991) che ha ammesso l'applicazione del nuovo codice e l'assoluzione per insufficienza di prove, per il mio caso, oggi rendono più facile a chi è vittima di un errore giudiziario chiedere giustizia.