Ante Litteram

Contributi sui temi di maggiore rilievo trattati dall'Associazione Articolo643


A raccontarla il noto penalista Mario De Caprio, difensore della 'Lollo' e del 'Papa della mafia'

Lo choc per il suicidio della compagna. Per i 14 giorni di ingiusta detenzione subita. Per l'accusa di ergastolo che si è portata dietro anni, finita con un'assoluzione con formula piena e un risarcimento da ingiusta detenzione di appena 6mila euro. E' la storia di Mario Maglione, vittima dell'ennesimo errore giudiziario italiano, emblema di un castello accusatorio che giorno dopo giorno si è andato sgretolando. Anzi, un castello accusatorio che poteva non nascere, perchè, come racconta il suo avvocato, il noto penalista romano Mario De Caprio, fu subito chiaro che Tullia Accetta, convivente di Maglione, si era suicidata con un colpo di pistola alla tempia e che a ucciderla non era stato lui.

A raccontare la vicenda è proprio De Caprio, reso famoso da una lunga carriera difensiva attraversata da casi storici: dalla difesa di Michele Greco, il cosiddetto 'Papa della mafia' nel processo di Palermo, a cui ha fatto ottenere la scarcerazione, contribuendo a demolire il "teorema Buscetta", alla causa che ha visto protagonista una delle più note attrici italiane, Gina Lollobrigida, per i falsi nudi pubblicati da Novella 2000. In quest'ultimo caso, l'avvocato ha fatto bloccare l'uscita del settimanale in tutta Italia, e la rivista è stata condannata a pagare 40 milioni di risarcimento immediato. Ma il caso di Mario Maglione, balzato alle cronache come il giallo di via Po, esploso a Roma nel 2000, è uno dei più recenti seguiti dal noto penalista per conto dell'Associazione nazionale errori giudiziari 'Articolo 643', guidata dall'avvocato Gabriele Magno. La dinamica del delitto all'inizio sembra chiara e limpida; poi, man mano si annebbia e ad offuscarla sono le accuse dei genitori di Tullia, oltre che le voci degli inquilini del palazzo in cui Mario abita con la compagna.

I due ragazzi si conoscono da oltre dieci anni quando decidono di trasformare il loro rapporto di amicizia in amore. Nei primi mesi di convivenza tra i due giovani c'è molta passione, racconta De Caprio, ma negli ultimi tempi prima della morte della donna, la coppia è molto litigiosa, tanto che i vicini sono costretti spesso ad ascoltare le loro scenate e non solo. La relazione si fa sempre più tempestosa. "Tullia alzava spesso il gomito - prosegue il penalista - è quando beveva, presa dall'ira, alzava anche le mani. Ma quella sera, il 13 aprile del 2000, dopo l'ennesima scenata, e dopo aver ricevuto un colpo al ventre, Mario esce di casa con il suo computer e con un ultimatum alla compagna". Ormai è finita: Mario dice a Tullia di andarsene e di portare via da casa tutte le sue cose. Quando tonerà a casa, lei dovrà già essere andata via. Ma due ore dopo, quando Mario rientra, vede una luce in camera da letto. Il corpo della donna è riverso sul letto, in una pozza di sangue: Tullia, mancina, si è uccisa puntandosi un colpo di pistola alla tempia sinistra. Mario chiama subito la polizia: la Squadra Omicidi, dopo un'intera giornata di rilievi e accertamenti, congeda l'uomo, perchè sulla base dei controlli effettuati e dell'esperienza sul campo, per gli investigatori si tratta di suicidio. Ma a distanza di pochi giorni, sulla base di due interrogatori e di alcune testimonianze, Maglione viene arrestato. Passerà in carcere 14 giorni. "Per fortuna - afferma De Caprio - il Tribunale delle Libertà inizia a diradare i dubbi decidendo di scarcerarlo. Ma in quei 14 giorni in cella, l'uomo viene sempre tenuto in isolamento, subendo inutili e vessatorie privazioni. Non solo, su di lui aleggia per molto tempo lo spettro di un possibile ergastolo".

In primo grado Maglione viene assolto con formula piena dall'accusa di omicidio, mentre viene condannato a 16 mesi per frode processuale: "questo perchè - spiega De Caprio - secondo il giudice Mario avrebbe spostato l'arma del delitto e alterato lo stato dei luoghi, inquinando così le prove". Accusa anche questa, che crolla di fronte ai giudici della Corte d'Assise d'Appello: Maglione viene assolto con formula piena sia dall'omicidio che dalla frode processuale. Il risarcimento che gli spetta per l'ingiusta detenzione subita è di 6mila euro. Troppo poco secondo De Caprio, che in Cassazione presenta un ricorso dove si chiede una somma non inferiore ai 100mila euro: "Il danno provocato dall'ingiusta detenzione - spiega il penalista - travalica molte volte quello della semplice riparazione per la privazione della libertà personale". Maglione infatti è affetto da sindrome Hiv, e la sua malattia diventa di pubblico dominio, umiliandolo di fronte a tutti. "Più che la semplice detenzione - rileva De Caprio - all'uomo viene inflitta una vera e propria tortura: non è difficile immaginare che se avesse realmente ucciso la sua donna, il rimorso, la malattia e la fragilità psicologica l'avrebbero portato a confessare immediatamente l'eventuale crimine commesso". Invece Mario si difende “con fermezza e disperazione”, si legge nel ricorso presentato, in un “lungo e drammatico interrogatorio al quale il gip rimane completamente indifferente”.

La Cassazione però rigetta il ricorso e conferma che il risarcimento è di 6mila euro, 245 euro al giorno moltiplicati per il tempo passato in cella. “Tre anni passati molto male – dirà Maglione dopo l'assoluzione - Mi sono tolto un peso. In questo periodo ho quasi abbandonato il lavoro, non ho mai dormito”. Insomma, un vero incubo. L'unica amara soddisfazione, resta per lui quella di aver, anche se dopo due gradi di giudizio, provato la sua innocenza, dimostrando che quello di Tullia era stato davvero un suicidio e smentendo così sia le perizie dei Ris di Parma e della polizia che andavano in senso opposto. Un caso che ha fatto scalpore nella Capitale. Molte le vicende, anche di portata internazionale, e aneddoti curiosi, che hanno visto protagonista l'avvocato De Caprio: meno tragica e più piacevole la vicenda processuale che lo ha visto protagonista in difesa di una star molto amata dal grande pubblico, Gina Lollobrigida: “Sulla stampa erano apparse delle foto dell'attrice senza veli – racconta ancora il penalista – sono riuscito a dimostrare che quelle immagini, più che un fotomontaggio, erano completamente false. La Lollo mi confidò che quella fu l'unica volta che vinse una causa e me lo scrisse anche in una dedica che conservo ancora in studio”.

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