Giurisprudenza

09 luglio 2003    Suprema Corte

Corte di cassazione Sezioni unite penali Sentenza 9 luglio 2003, n. 35760

Corte di cassazione Sezioni unite penali Sentenza 9 luglio 2003, n. 35760

FATTO E DIRITTO

Azgejui Ylli ed Aliu Luan, già detenuti in stato di custodia cautelare dal 6 aprile al 15 giugno 2000 - assolti dal Tribunale per i minorenni di S. Maria Capua Vetere con sentenza 22 dicembre 2000, in ordine a reati in materia di falso e detenzione di armi - avevano chiesto, dopo il passaggio in giudicato della sentenza assolutoria, la riparazione per l'ingiusta detenzione sofferta, ai sensi degli articoli 314 e 315 c.p.p.

La Corte di appello di Napoli, con ordinanza del 22 novembre 2001, ha accolto le domande ed ha liquidato a ciascuno dei suddetti la somma di lire 7.000.000 a titolo di equa riparazione, a carico dello Stato, condannando il Ministero dell'economia e delle finanze (che non si era costituito) al pagamento delle spese sostenute dalle partì private.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell'economia e delle finanze, con il quale ha eccepito:

a) la nullità del procedimento e dell'ordinanza medesima, nei confronti dell'Azgejui, per violazione degli articoli 315, comma 3, e 646, comma 2, c.p.p., in relazione sia all'articolo 606, comma 5, lettera e), c.p.p. sia all'articolo 360, n. 4, c.p.c., poichè la domanda introduttiva presentata dall'istante, non era stata mai notificata all'Amministrazione, come previsto dall'articolo 646, comma 2, c.p.p., espressamente richiamato dall'articolo 315, comma 3, onde ne sarebbe conseguita la violazione del principio del contraddittorio, secondo la disciplina processual-civilistica, non soddisfatto dalla ricezione del solo avviso di fissazione dell'udienza;

b) la violazione degli articoli 314 e 315 c.p.p., in relazione sia all'articolo 606, comma 1, lettera b), c.p.p. sia all'articolo 360, nn. 3 e 5, c.p.c., poichè la condanna del Ministero al pagamento delle spese sostenute dalle parti private non avrebbe potuto essere pronunciata in ipotesi in cui l'Amministrazione non si era potuta costituire nel procedimento, nè si era opposta alla concessione dell'indennizzo, e quindi non si era instaurato alcun contenzioso in relazione al quale potesse applicarsi la regola della soccombenza, ex articolo 91 c.p.c.

La sezione quarta penale di questa Corte suprema, assegnataria del ricorso - con ordinanza del 18 settembre 2002 (depositata il 27 maggio 2003) - ha rimesso il suo esame alle Sezioni unite, in riferimento al primo motivo dedotto (violazione degli articoli 315, comma 3, e 646, comma 2, c.p.p., per avere la Corte di appello emesso la decisione senza la corretta instaurazione del contraddittorio), ritenendo di non condividere l'orientamento di quella giurisprudenza precedente che aveva considerato applicabile la disciplina processual-civilistica al procedimento de quo.

Nell'ordinanza di rimessione si prospetta la possibilità di far ricadere la questione direttamente nella disciplina del processo penale, in forza del richiamo effettuato dal primo comma dell'articolo 646 c.p.p. alle "forme previste dall'articolo 127 c.p.p.", con la conseguenza che l'omessa notifica della domanda di riparazione costituirebbe una nullità di carattere intermedio, eccepibile, al più tardi, immediatamente dopo il compimento dell'atto nullo, ma non più, per la prima volta, dopo la deliberazione dell'ordinanza, mediante il ricorso per cassazione.

Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite penali, fissando per la trattazione l'odierna camera di consiglio.

1. Al procedimento per la riparazione da ingiusta detenzione - a norma dell'articolo 315, comma 3, c.p.p. - "si applicano, in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell'errore giudiziario" (articoli 643-647 c.p.p.) e l'articolo 646 del codice di rito prescrive:

- al comma 1, che "sulla domanda di riparazione la Corte di appello decide in camera di consiglio osservando le forme previste dall'articolo 127";

- al comma 2, che "la domanda, con il provvedimento che fissa l'udienza, è comunicata al Pm ed è notificata, a cura della cancelleria, al Ministero del tesoro presso l'Avvocatura dello Stato che ha sede nel distretto della Corte e a tutti gli interessati, compresi gli aventi diritto che non hanno proposto la domanda".

2. La questione sottoposta all'esame delle Sezioni unite consiste nello stabilire "se in tema di procedimento per la riparazione per l'ingiusta detenzione, l'omessa notificazione della domanda, a cura della cancelleria, al Ministro dell'economia e delle finanze [subentrato al Ministro del tesoro per effetto del decreto-legge 134/01, convertito nella legge 317/01] presso la competente sede distrettuale dell'Avvocatura dello Stato, determini l'improcedibilità della richiesta, ovvero una nullità di ordine generale a regime intermedio a norma dell'articolo 180 c.p.p. e in quest'ultima ipotesi quali siano i termini di deducibilità della nullità".

3. La risoluzione di tale questione si connette direttamente a quella, più ampia e generale, dell'individuazione della natura del rapporto sostanziale e del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione.

4. Il rapporto sostanziale è stato prevalentemente identificato come civilistico (vedi Cassazione, sezione quarta, 1362/92, ric. Min. tesoro in proc. D'Arrigo), anche se non avente natura risarcitoria ma indennitaria.

Ogni correlazione con il risarcimento è stata espressamente esclusa da queste Sezioni unite, con la sentenza 1/1992, ric. Pg e Min. tesoro in proc. Fusilli, ove si è affermato che "l'equa riparazione per ingiusta detenzione non ha carattere risarcitorio, in quanto l'obbligo dello Stato non nasce ex illicito ma da solidarietà verso la vittima di un'indebita custodia cautelare" e che il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione è classificabile tra i diritti civici, cui corrisponde l'obbligo di diritto pubblico dello Stato.

La sezione terza penale, invece - con la sentenza 1894/00, ric. Riccobono ha ritenuto configurabile un rapporto avente natura pubblicistica e, precisamente, un'obbligazione pubblica o di diritto pubblico, nascente da "responsabilità derivante da atto legittimo di carattere autoritativo".

5. Gli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte suprema circa la qualificazione del rapporto sostanziale hanno avuto inevitabili riflessi sulla individuazione della natura del procedimento disciplinato dall'articolo 315 c.p.p.

5.1. La natura essenzialmente civilistica della procedura è stata affermata, infatti, da più decisioni, tra le quali possono ricordarsi le sentenze della sezione quarta: 935/94, ric. Schittino; 268/98, ric. De Rachewiltz ed altro; 370/98, ric. Pm in proc. Gulli; 970/98, ric. Min. tesoro in proc. Cakmak; 267/99, ric. Prato; nonchè la sentenza 709/97, ric. Tamburini, della sezione terza.

Tale indirizzo interpretativo si è consolidato con la decisione di queste Sezioni unite, 8/1999, ric. Min. tesoro in proc. Sciamanna, ove è stato affermato che "il rapporto processuale relativo alla riparazione per l'ingiusta detenzione ha natura civile, anche se inserito in una procedura che si svolge dinanzi al giudice penale, trattandosi di controversia concernente il regolamento di interessi patrimoniali (attribuzione di una somma di danaro) tra il privato, titolare del diritto alla riparazione, e lo Stato".

Principio successivamente ribadito da Cassazione, sezione quarta, 1740/00, ric. Reichast ("il procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione ha natura civile ancorchè inserito per ragioni di opportunità in un procedimento penale"); 1808/00, ric. Vitucci ed altro, ("il procedimento non assume carattere contenzioso per l'eventuale opposizione del Pm, poichè quest'ultimo è estraneo al rapporto civilistico tra istante e Amministrazione del tesoro, avendo il suo intervento natura identica a quella di cui all'articolo 70 c.p.c.").

5.2. Altre decisioni hanno sottolineato le peculiarità del procedimento per la riparazione per l'ingiusta detenzione, segnalandone le. connotazioni di natura civilistica, ma evidenziando le correzioni in termini di rafforzamento dei poteri istruttori officiosi del giudice, ritenute giustificabili anche nell'ambito del principio dispositivo proprio del procedimento civile.

Tali decisioni evidenziano che il procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione, pur presentando indubbie connotazioni civilistiche, riguarda pur sempre un rapporto obbligatorio di diritto pubblico e postula quindi un rafforzamento dei poteri del giudice, che finisce per derogare al principio civilistico della esclusiva disponibilità delle prove in capo alle parti; il giudice della riparazione, pertanto, ben può procedere ad attività integrativa di ufficio ovvero invitare le parti ad integrare la documentazione presentata (vedi Cassazione, sezione quarta, 2815/00, ric. Min. tesoro in proc. Salamone; 3042/00, ric. Iannino; 4549/00, rie. De Linardi ed altri).

Nella materia della ripartizione dell'onere probatorio, la stessa quarta sezione, con la sentenza 3682/98, P.C. in proc. Fancello, aveva posto in rilievo che "In tema di equa riparazione per l'ingiusta detenzione, non sussiste a carico dell'istante onere di allegazione della prova (negativa) di fatti impeditivi, modificativi od estintivi dell'invocato, diritto. Invero, pur trattandosi di un rapporto obbligatorio di diritto pubblico, l'onere della esistenza di fatti impeditivi, modificativi od estintivi del diritto del richiedente, non compete a quest'ultimo, ma, secondo il principio generale di cui all'articolo 2697 c.c., a colui il quale l'esistenza di tali fatti intenda eccepire".

5.3. Queste Sezioni unite - con la sentenza del 14/2001, ric Min. Tesoro in proc. Caridi - hanno rilevato che "l'avanzamento di una pretesa d'impronta essenzialmente civilistica dinanzi a un organo (la Corte di appello) che esercita la giurisdizione penale conferisce all'istituto una particolare connotazione, giustificata, peraltro, come nel caso di promovimento dell'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno nel processo penale (articoli 74 e segg. c.p.p.), dalla contiguità del diritto vantato con il procedimento preordinato all'accertamento di un reato", evidenziando che occorre comunque tenere presente che "quello in discussione è un tipo di procedimento caratterizzato dalla necessarietà, nel senso che la parte pubblica, a differenza del privato cittadino autore, per avventura, di un fatto causativo di danno, non potrebbe mai, in difetto di una specifica norma autorizzativa, provvedere spontaneamente e direttamente alla riparazione, prescindendo, cioè, dall'intervento del giudice. L'articolo 314 c.p.p., riconoscendo il diritto all'equa riparazione, pone lo Stato in una condizione di soggezione, che la pronuncia del giudice, sollecitata dalla parte privata, può trasformare in una situazione giuridica nuova connotata dalla nascita di un obbligo concreto e specifico. Obbligo che non preesiste, quindi, alla richiesta di riparazione; esso è creato dal giudice previo accertamento dei presupposti - come recita il titolo dell'articolo citato - per una decisione favorevole. In altri termini, il privato cittadino, che sia stato detenuto ingiustamente, diviene titolare del potere di determinare un effetto giuridico a proprio vantaggio e a carico della pubblica amministrazione, servendosi di un provvedimento giurisdizionale che rappresenta l'atto generatore del suo credito... L'accertamento del diritto, quindi, è, in questo caso, la condizione cui la legge subordina il mutamento giuridico e costituisce esso stesso il fatto giuridico che di quell'effetto è causa e che prima non poteva prodursi, rappresentando la proposizione della domanda solo uno degli elementi concorrenti al raggiungimento del risultato finale".

Si è affermata così la tesi che qualifica l'azione per la riparazione dell'ingiusta detenzione come un'azione "costitutiva necessaria", ribadita, nelle decisioni più recenti, da Cassazione, sezione quarta: 4997/00, ric. Min. tesoro in proc. La Cavera e 5715/01, ric. Natale.

5.4. Hanno affermato, invece, l'applicabilità delle regole del processo penale, queste Sezioni unite, nell'ordinanza 22/2001, ric. Petrantoni, ove è stato osservato che il procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione, pur avendo svolgimento e natura propri e del tutto peculiari, si sviluppa all'interno del processo penale del quale, ove non diversamente disposto, mutua per intero le regole, sicchè la nomina e la rappresentanza del difensore, per proporre il ricorso per cassazione, sono disciplinate dall'articolo 100 c.p.p. e non sono applicabili le disposizioni di cui agli articoli 83 e 84 c.p.c. (procura alle liti e poteri del difensore).

Con tale pronuncia queste Sezioni unite hanno riconosciuto la sufficienza della disciplina processuale penale, superando espressamente quell'orientamento, definito nella motivazione "tralatizio", che aveva strutturato il procedimento per ingiusta detenzione in un procedimento civile, pur occupandosi di profili limitati del procedimento, quali la presentazione del ricorso in cancelleria e la regolamentazione delle spese.

E' stato argomentato testualmente, in particolare, che "la natura civile del procedimento deriverebbe dal fatto che esso ha per oggetto un indennizzo, che è l'equivalente monetario occorrente per porre riparo alle conseguenze della ingiusta detenzione. Ma a ciò è agevole obiettare che la patrimonialità della prestazione non è da sola sufficiente a caratterizzare la natura del procedimento e soprattutto a delinearne la sua struttura formale e le regole particolari. Si tratta di un inquadramento che non trova alcun giustificazione normativa ma che è frutto di un ingiustificato schematismo e di una esigenza tassonomica che pretende di inquadrare per forza un procedimento negli schernì tradizionali (civile, penale, amministrativo)".

Queste stesse Sezioni unite, del resto, già nella sentenza 14/1997, ric. Min. tesoro in proc. Gallaro, avevano affermato che "tutta" la disciplina necessaria per il concreto riconoscimento della pretesa riparatoria non può che essere ricercata nell'ambito del codice di rito penale, "le cui disposizioni, in assenza di un'espressa deroga, debbono trovare in questa materia integrale applicazione".

5.5. I profili di "atipicità" e le caratteristiche autonome del procedimento per la riparazione per ingiusta detenzione sono stati, più recentemente, "rivalutati" da queste Sezioni unite, con la sentenza 34559/02, ric. De Benedictis, ove è stata ribadita la peculiarità del procedimento medesimo, individuata nella ispirazione solidaristica e nella connotazione pubblicistica dell'istituto, ma è stato nuovamente affermato che "la particolarità del procedimento ed il suo inserimento nel c.p.p. non escludono che esso presenti pur sempre anche estremi di carattere civile"... "In particolare, per il richiamo operato dall'articolo 315, comma 3, c.p.p. ai successivi articoli 643 e seguenti, la domanda va obbligatoriamente notificata, a cura della cancelleria, al Ministro del tesoro (oggi Ministro dell'economia e delle finanze) presso l'Avvocatura dello Stato. Ne consegue che l'Amministrazione è parte necessaria, in quanto l'ordinamento non le consente di riconoscere ed attribuire autonomamente una somma a titolo di riparazione per ingiusta detenzione. E', pertanto, indispensabile l'intervento del giudice, che deve operare il controllo di legalità della pretesa avanzata dall'interessato, secondo i dettami dell'articolo 314 c.p.p., e provvedere alla liquidazione, ove dovuta. Il procedimento è, quindi, a contraddittorio necessario, che s'instaura con la suddetta notifica della domanda, ma non a carattere contenzioso necessario, in quanto la parte pubblica può non costituirsi ovvero costituirsi, aderendo alla richiesta del privato, o anche rimettersi al giudice".

6. La giurisprudenza non ha mancato di analizzare, nel procedimento di equa riparazione per la custodia cautelare sofferta senza titolo, le formalità d'instaurazione del rapporto processuale tra l'istante-ricorrente e l'Amministrazione, con particolare riguardo all'adempimento richiesto dal comma 2 dell'articolo 646 c.p.p., richiamato dall'articolo 315 dello stesso codice, il quale impone - a cura della Cancelleria e non del richiedente - la notifica della domanda al convenuto Ministro, presso la competente Avvocatura distrettuale dello Stato, unitamente al provvedimento che fissa l'udienza in camera di consiglio (vedi Cassazione, sezione quarta: 1358/92, ric. Min. tesoro in proc. Turci; 38022/02, ric. Min. tesoro in proc. Scamardella; 551/93, ric. Min. tesoro in proc. Vaghine).

7. A fronte dei non univoci orientamenti giurisprudenziali, questo Collegio ritiene anzitutto di dovere muovere dalle seguenti premesse.

a) La riparazione per l'ingiusta detenzione - introdotta nel nostro ordinamento dalla direttiva n. 100 della legge-delega 81/1987, in attuazione dell'articolo 24, comma 4, della Costituzione ed in applicazione dell'articolo 5, paragrafo 5, della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (entrata in vigore in Italia il 26 ottobre 1955) nonchè dell'articolo 9, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici (assunto dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 ed entrato in vigore in Italia il 15 dicembre 1978) - è caratterizzata da un rapporto di tipo obbligatorio definibile come "obbligazione di diritto pubblico" che non ha carattere risarcitorio e che nasce, non ex illicito, ma da doverosa solidarietà verso la vittima di un'indebita custodia cautelare, e ha ad oggetto una prestazione consistente nel pagamento di una somma di denaro rivolta a compensare l'interessato (che non vi abbia dato a abbia concorso a darvi causa per dolo o colpa grave) delle conseguenze personali, di natura morale, patrimoniale, fisica e psichica, che la carcerazione abbia prodotto.

La sua fonte, dunque, non è,una di quelle previste dal diritto privato e non va identificata nelle norme civili in materia di fatto illecito (La Corte Costituzionale - con la sentenza 446/97 - ha configurato l'esborso a carico dello Stato come "misura riparatoria e riequilibratrice e in parte compensatrice della ineliminabile componente di alea per la persona propria della giurisdizione penale cautelare").

b) Il procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione è caratterizzato dalla necessarietà, nel senso che la parte pubblica non può mai provvedere spontaneamente e direttamente alla riparazione stessa, prescindendo, cioè, dall'intervento del giudice.

"L'articolo 314 c.p.p., riconoscendo il diritto all'equa riparazione, pone lo Stato in una condizione di soggezione, che la pronuncia del giudice, sollecitata dalla parte privata, può trasformare in una situazione giuridica nuova connotata dalla nascita di un obbligo concreto e specifico. Obbligo che non preesiste, quindi, alla richiesta di riparazione; esso è creato dal giudice previo accertamento dei presupposti -come recita il titolo dell'articolo citato - per una decisione favorevole. In altri termini, il privato cittadino, che sia stato detenuto ingiustamente, diviene titolare del potere di determinare un effetto giuridico a proprio vantaggio e a carico della pubblica Amministrazione, servendosi di un provvedimento giurisdizionale che rappresenta l'atto generatore del suo credito" (Sezioni unite, 14/2001, ric. Min. Tesoro in proc. Caridi).

Non si tratta di azione costitutiva contemplata dall'articolo 2908 cod. civ., bensì di un'azione annoverabile tra quelle che parte della dottrina processual-penalistica definisce "azioni penali complementari", caratterizzate dal riconoscimento (tanto al Pm quanto a taluni soggetti privati) del potere di iniziare un procedimento mediante la richiesta di decisione su un determinato oggetto diverso dall'accertamento di una notitia criminis.

c) Deve ritenersi priva di alcuna giustificazione normativa la configurazione del procedimento per la riparazione di ingiusta detenzione come un procedimento civile che si svolge dinanzi al giudice penale (Sezioni unite, 22/2001, ric. Petrantoni), trattandosi, invece, di un procedimento penale autonomo (non incidentale) che presuppone definitivamente concluso il rapporto processuale instauratosi per effetto dell'esercizio dell'azione penale.

d) La relativa disciplina non può che essere ricercata, dunque, nell'ambito dell'ordinamento processuale penale, "le cui disposizioni, in assenza di un'espressa deroga, debbono trovare in questa materia integrale applicazione" (Sezioni unite, 14/1997, ric. Min. tesoro in proc. Gallaro).

8. Alla stregua delle premesse dianzi enunciate, ritengono poi queste Sezioni unite che la disciplina dell'instaurazione dei rapporto processuale, nel procedimento di riparazione per l'ingiusta detenzione, debba essere delineata secondo i seguenti principi.

a) Il comma 1 dell'articolo 646 c.p.p. dispone che "sulla domanda di riparazione la Corte di Appello decide in camera di consiglio osservando le forme previste dall'articolo 127", sicchè deve ritenersi che il comma 2 dello stesso articolo 646, allorchè stabilisce che "la domanda, con il provvedimento che fissa l'udienza, è comunicata al Pm ed è notificata, a cura della cancelleria, al Ministro...", intende prescrivere, che la comunicazione e la notifica debbono avvenire nell'osservanza della norma dell'articolo 127, comma 1, c.p.p., secondo la quale "quando si deve procedere in camera di consiglio, il giudice o il presidente del collegio fissa la data dell'udienza e ne fa dare avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori".

La comunicazione e la notifica, però, per espressa previsione legislativa, non possono essere limitate al solo provvedimento che fissa l'udienza, ma devono estendersi anche alla domanda.

Deve essere garantito, infatti, il principio del contraddittorio tra le parti, tradizionalmente desunto dall'articolo 24, comma 2, della Costituzione ed esplicitamente affermato dal comma 2 del novellato articolo 111 della Carta fondamentale per ogni tipo di processo.

Tale principio, nella variegata tipologia dei procedimenti camerali disciplinati dal c.p.p., l'articolo 646 pone come caratteristica accentuata, rispetto al modello generale fissato dall'articolo 127, dei procedimenti di riparazione dell'errore giudiziario e dell'ingiusta detenzione.

Il Pm deve essere messo effettivamente in grado di fare valere l'interesse pubblico all'esatta interpretazione della legge, cui si correla il proprio potere di impugnazione (vedi Cassazione, sezione quarta, 1078/01, Pg in proc. Bajrarni).

L'Amministrazione dello Stato, a sua volta, sulla quale si rifletterà l'eventuale conseguenza debitoria dell'assegnazione dell'indennizzo, ha diritto a conoscere preventivamente ogni elemento necessario ad approntare con compiutezza la propria difesa e ad acquisire, a tal fine, le indispensabili informazioni in ordine alle questioni riguardanti sia l'an della riparazione (legittimazione dei richiedente, tempestività dell'istanza, indagine sul dolo o la colpa) sia la determinazione del quantum debeatur: cognizione che può derivarle solo dalla compiuta conoscenza della domanda e non dalla mera ricezione dell'avviso di fissazione dell'udienza.

b) La omessa notifica all'Amministrazione, da parte della cancelleria, o della domanda o del provvedimento che fissa l'udienza non comporta "improcedibilità" della domanda, in quanto tale istituto si ricollega ad una condizione di procedibilità dell'azione e ad una inattività della parte ad essa relativa.

Nella specie, viceversa, è riscontrabile un vizio che non inerisce al rapporto processuale nella sua interezza, in una singola sua fase, in relazione all'atto costitutivo di essa, nè ad un atto necessario di impulso processuale di parte.

Il vizio stesso non è in alcun modo ascrivibile all'istante, in quanto gli adempimenti successivi alla presentazione della domanda di riparazione nella cancelleria della competente Corte di appello sono a carico della stessa cancelleria, che cura l'effettuazione della notifica senza che per detta attività siano previsti termini ovvero sia ipotizzabile alcuna decadenza.

c) L'omessa notifica dà luogo, invece, alla nullità dì ordine generale comminata dall'articolo 127, comma 5, c.p.p., ascrivibile al regime intermedio di cui all'articolo 180 dello stesso codice di rito, in quanto rientrante nel generale disposto dell'articolo 178, lettera c).

Tale nullità, che è rilevabile anche di ufficio, deve essere eccepita prima della conclusione del procedimento in camera di consiglio, se la parte pubblica è presente, ovvero per la prima volta con i motivi di ricorso per cassazione, in caso di assenza.

La Sezione remittente ha fatto riferimento ad una decisione di questa Corte (Cassazione, sezione prima, 4017/97, ric. Pata) secondo la quale "l'articolo 182, comma 2, c.p.p., nel prevedere che, quando la parte vi assiste, la nullità di un atto possa essere eccepita, al più tardi, "immediatamente dopo" il compimento dell'atto stesso, non pone affatto il detto termine in relazione alla necessaria effettuazione di un successivo atto cui intervenga la stessa parte o il difensore, ben potendo, in realtà, la formulazione dell'eccezione avere luogo anche al di fuori dell'espletamento di specifici atti, mediante lo strumento delle "memorie o richieste" che, ai sensi dell'articolo 121 c.p.p., possono essere inoltrate "in ogni stato e grado del procedimento". Ne consegue che non può essere considerata tempestiva la proposizione di un'eccezione di nullità quando detta proposizione sia intervenuta a distanza di parecchi giorni dal compimento dell'atto, in occasione del primo atto successivo del procedimento".

Alla stregua di tale principio ha prospettato, pertanto, che - nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione - l'Amministrazione che abbia comunque ricevuto l'avviso di udienza prescritto dall'articolo 127 è libera di non costituirsi, ma ciò non la esonererebbe dall'eccepire tempestivamente la omessa notifica della domanda, con eccezione che, non essendo riferita a nullità verificatasi nel giudizio, non potrebbe più essere proposta, ai sensi dell'articolo 180 c.p.p., dopo la deliberazione dell'ordinanza ed in particolare con il ricorso per cassazione.

La sentenza Pata, però (riguardante, nello specifico, la prospettata violazione dell'articolo 114 disp. att. c.p.p., per mancato avviso, da parte della polizia giudiziaria, della facoltà per l'indagato di farsi assistere da un difensore nel compimento di un rilievo sulla sua persona), è pur sempre riferita al caso in cui la parte sia presente ed assista al compimento dell'atto. Nel caso di mancata presenza, invece, deve applicarsi il disposto dell'ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 182 c.p.p. e la nullità deve essere eccepita "entro i termini previsti dall'articolo 180".

Potrebbe farsi riferimento alle "memorie" che, ai sensi dell'articolo 127, comma 2, possono essere presentate in cancelleria "fino a cinque giorni prima dell'udienza". Aderendo ad un'interpretazione siffatta, però, la presentazione della "memoria" verrebbe a costituire l'unico modo per eccepire, a pena di decadenza, le nullità assolute di regime intermedio concernenti le attività preparatorie delle udienze in carriera di consiglio, nei procedimenti disciplinati dallo stesso articolo 127, anche nelle ipotesi di successiva effettiva partecipazione all'udienza camerale.

Inoltre, poichè il comma 2 dell'articolo 127 si limita a fissare un termine per la presentazione di quelle memorie che l'articolo 121 consente con disposizione generale, tutto il regime della deducibilità delle nullità "intermedie" (e della relativa decadenza), anche al di fuori dei procedimenti in camera di consiglio, si ricollegherebbe alla possibilità di presentazione di memorie siffatte, con evidenti asistematici riflessi di inapplicabilità delle previsioni degli articoli 180 e 184 del codice di rito.

9. Per le considerazioni dianzi svolte va affermato, in conclusione, il principio di diritto che "in tema di procedimento per la riparazione per l'ingiusta detenzione, l'omessa notificazione della domanda, a cura della cancelleria, al Ministro dell'economia e delle finanze (subentrato al Ministro del tesoro per effetto del decreto legge 134/01, convertito nella legge 317/01) presso la competente sede distrettuale dell'Avvocatura dello Stato, non determina l'improcedibilità della richiesta, bensì una nullità generale a regime intermedio a norma dell'articolo 180 c.p.p., che è rilevabile anche di ufficio e deve essere eccepita prima della conclusione del procedimento in camera di consiglio, se la parte pubblica vi partecipi, ovvero per la prima volta mediante ricorso per cassazione, in caso di mancata partecipazione".

10. Con il secondo motivo di gravame è stata eccepita l'erroneità della condanna dell'Amministrazione alle spese di lite sostenute dalle parti private, deducendosi che "questa condanna non può essere pronunciata nelle ipotesi in cui l'Amministrazione, pur costituita dinanzi alla Corte, non si sia tuttavia opposta alla concessione dell'indennizzo, ovvero, e a maggior ragione, quando, come nel caso di specie, non si sia costituita".

La doglianza è fondata e merita accoglimento.

Queste Sezioni unite penali, con la decisione 1/1992, ric. Pg e Min. tesoro in proc. Fusilli - aderendo alla concezione processual-civilistica del procedimento in esame - hanno conseguentemente ritenuto che "il carico delle spese va regolato, nonostante il silenzio della legge, secondo il principio della soccombenza di cui all'articolo 91 cod. proc. cìv." e tale principio hanno ribadito con la decisione 4/1999, ric. Min. tesoro in proc. Sciamanna ed altro.

Il medesimo indirizzo interpretativo è stato riaffermato anche da alcune decisioni della sezione quarta che, pur sempre all'interno della concezione processual-civilistica, hanno ricostruito l'azione di riparazione come azione costitutiva necessaria (cfr. Cassazione, sezione quarta: 1740/00, ric. Reichast; 1808/00, ric. Vitucci ed altro).

Successivamente, però, le Sezioni unite (con la sentenza 22/2001, ric. Petrantoni), hanno affermato che, per il governo delle spese tra le parti, "non è necessario rifarsi alle norme del processo civile o fare ricorso ad una caratterizzazione ibrida del procedimento riparatorio, dal momento che l'articolo 541 c.p.p. offre una disciplina completa della materia".

11. Ritiene questo Collegio che, per la regolamentazione delle spese di parte, debba trovare necessaria applicazione, come regola fondamentale dell'ordinamento, il principio di causalità, di cui la soccombenza è un elemento rilevatore (che opera anche in caso di azione necessaria ed al quale si conformano sia l'articolo 91 c.p.c. sia l'articolo 541 c.p.p.), con la conseguenza che, nel procedimento di indennizzo per ingiusta detenzione, quando l'Amministrazione non si costituisca, ovvero, pur costituendosi, aderisca alla richiesta del privato o si rimetta al giudice, essa - che non ha dato causa al giudizio necessario - non può essere condannata alla rifusione, in favore della controparte, di spese che non ha in alcun modo provocato.

Qualora, invece, l'Amministrazione si costituisca, svolgendo una qualsiasi eccezione diretta a paralizzare o ridurre la pretesa dell'istante e veda rigettate le sue deduzioni e conclusioni, il giudice deve porre le spese a carico della stessa, per avere tenuto un comportamento processuale rivelatosi ingiustificato, o, se ne ravvisi le condizioni, dichiararle totalmente o parzialmente compensate.

12. Per tutte le argomentazioni dianzi svolte, il ricorso va accolto nei limiti delineati conseguentemente, l'ordinanza impugnata deve essere:

- annullata, nei confronti di Azgejui Ylli, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli, che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati;

- annullata senza rinvio, nei confronti di Aliu Luan, limitatamente alla condanna del Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento delle spese di parte, condanna che va eliminata.

Il ricorso deve essere rigettato nel resto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni unite, visti gli articoli 646, 611, 621 e 623 c.p.p., annulla l'impugnata ordinanza, nei confronti di Azgejui Ylli, e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli. Annulla senza rinvio l'impugnata ordinanza, nei confronti di Aliu Luan, limitatamente alla condanna del Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento delle spese, condanna che elimina. Rigetta il ricorso nel resto.

Read more: http://www.eius.it/giurisprudenza/2003/096.asp#ixzz0foIMYQh9

Media

  • Gli arresti ingiusti costati un miliardo in trent’anni
    Gli arresti ingiusti costati un miliardo in trent’anni
  • Intervista avv. Gabriele Magno
    Intervista avv. Gabriele Magno
  • Condannato per infanticidio, Antonio Rasero grida la sua innocenza.
    Condannato per infanticidio, Antonio Rasero grida la sua innocenza.
  • Il giudice passa l'estate nella villa sequestrata ingiustamente
    Il giudice passa l'estate nella villa sequestrata ingiustamente
  • Amanti diabolici, Sonia Bracciale ora chiede la revisione
    Amanti diabolici, Sonia Bracciale ora chiede la revisione
  • ARTE TV: Intervista Avv. Gabriele Magno
    ARTE TV: Intervista Avv. Gabriele Magno
  • Dibattito "Vite rubate"
    Dibattito
  • Intervista Avv. Gabriele Magno
    Intervista Avv. Gabriele Magno
  • Siamo Noi - Errori giudiziari: tra sofferenza e ingiusta detenzione
    Siamo Noi - Errori giudiziari: tra sofferenza e ingiusta detenzione
  • Intervista Avv. Gabriele Magno alle Iene per un drammatico errore giudiziario
    Intervista Avv. Gabriele Magno alle Iene per un drammatico errore giudiziario