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Quanto accaduto a Domenico Morrone...
Quanto accaduto a Domenico Morrone è il più eclatante caso di condanna di un innocente della storia giudiziaria italiana ad oggi,
che tale si è sempre professato nell'arco dei suoi 15 anni di reclusione e che costituisce un clamoroso errore giudiziario, anzi un caso - simbolo.
E' stato accusato di duplice omicidio, mentre la madre (che aveva dichiarato che il figlio era dai vicini al momento del delitto) e due vicini di casa (per i quali nelle ore del delitto l'uomo stava lavorando proprio nella loro abitazione per riparare un acquario) sono stati condannati per falsa testimonianza. A questo si aggiunga che l'identikit dell'assassino dei due ragazzi, calvo ed al volante di una macchina nera, non corrisponde al Morrone, che ha tutti i capelli e non ha un'auto di quel tipo.
Nonostante tutto questo, nessun giudice ha mai creduto loro, fino alla sentenza della Corte d'Appello di Lecce del 21/04/2006.
Per due volte la Cassazione ha rinviato il processo alla corte d'appello perchè Morrone aveva un alibi credibile, ma i giudici hanno ugualmente confermato la condanna. Quattro precedenti tentativi di revisione sono stati rigettati, fino a quando, per ottenere la revisione del processo, abbiamo trovato riscontro nelle dichiarazioni di due pentiti che hanno rivelato, che ad uccidere i due ragazzi era stato un soggetto tutt'ora in carcere, per vendicare lo scippo subito dalla madre la mattina del delitto.
Se i due detenuti non avessero testimoniato e se la Corte d'appello di Lecce non li avesse ascoltati, Domenico Morrone sarebbe ancora in carcere, pur non avendo commesso alcun reato ed essendo incensurato.

Nel caso Morrone si possono individuare gravi problemi del pianeta giustizia:

1) la lunghezza dei processi;

2) la responsabilità dei magistrati;

3) la situazione delle carceri.

L'errore giudiziario di Morrone si caratterizza proprio per la lunghezza della ingiusta detenzione (ha scontato 15 anni, su una condanna di 21 del processo incriminante) e si differenzia da altri casi come Barillà o Ragusa per tipologia, trattandosi di incensurato, evidenziando altresì il problema della difficoltà della revisione processuale in Italia.
Secondo il codice di procedura penale, i giudici hanno la possibilità di rigettare de plano senza entrare nel merito e perciò, difficilmente concedono la revisione processuale ed i casi sono troppo pochi rispetto ai tanti innocenti nelle carceri. Sembra necessaria una riforma in senso garantista della revisione.
Altro problema della giustizia è costituito dall'eccessiva lunghezza dei processi, nel caso di Domenico Morrone abbiamo avuto sette gradi di giudizio, cinque revisioni, ma sono passati ben quindici anni.
I cittadini hanno diritto ad una giustizia giusta in tempi rapidi ed in linea con questa affermazione vi è la possibilità di ricorrere alla Legge Pinto.
Quando i processi, siano essi civili, penali o amministrativi, durano più di quattro anni, il cittadino può ricorrere contro il ministro competente (sia esso della Giustizia, della Difesa o dell'Economia e Finanze) e chiedere un risarcimento fino a duemila euro per ciascun anno. Qualora i cittadini italiani esperissero in massa tale rimedio, lo stato sarebbe costretto dal debito pubblico giudiziario che ne deriverebbe, a riformare il pianeta giustizia.
Questa legge però si scontra con due problemi.
Da un lato si segnala da parte della magistratura la non applicazione in toto della legge, a questo proposito va ricordato che la stessa Corte Europea con sentenza del 28/07/99, afferma che: "Le questioni inerenti il rispetto dei diritti dell'uomo dipendono da un attivo e consapevole coinvolgimento di tutte le componenti del sistema interno", mentre è il nostro stesso C. S. M. a tentare di sensibilizzare la magistratura verso le disposizioni della Convenzione, richiamando i capi degli uffici giudiziari al "dovere di vigilanza sull'andamento dei processi". Senza un'attiva collaborazione della magistratura è impossibile mutare la prassi della irragionevole lentezza processuale. Per questo motivo siamo stati sottoposti a monitoraggio da parte del comitato CEDU. I criteri di risarcimento di Strasburgo, non sono rispettati dai giudici nazionali. Con l'art. 5 della Legge 24 marzo 2001, n. 89, il legislatore ha stabilito che al versamento di ogni somma a titolo di indennizzo, per i danni causati al ricorrente dagli irragionevoli tempi processuali, è sottesa la possibilità, teorica e demandata all'attività del Procuratore Generale presso la Corte dei Conti, di individuare in modo preciso e specifico i singoli responsabili, individuabili nella figura del magistrato e di ogni altra autorità chiamata a concorrere al procedimento o comunque a contribuire alla sua definizione.
A conferma di questa possibilità, l'art. 5 della legge Pinto obbliga le adite Corti d'Appello a comunicare il decreto di accoglimento del ricorso al procuratore generale della Corte dei Conti, ai fini dell'eventuale avvio di un procedimento di responsabilità, nonchè ai titolari dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento.
A questo proposito, il gruppo Magistratura indipendente dell'Associazione Nazionale Magistrati, risponde esprimendo viva preoccupazione per l'entrata in vigore della Legge n. 89/2001, a causa del rischio per lo stato di dover pagare somme molto ingenti a titolo di risarcimento per la propria inefficienza , nonchè del lavoro extra e da sbrigare in tempi brevi, di cui saranno subissate le Corti D'appello, uscendo da queste situazioni con ulteriore discredito. In realtà il problema dell'eccessiva lunghezza dei processi coinvolge ,in Italia, la responsabilità dello Stato, prima che la responsabilità dei magistrati. A parte qualche caso, la responsabilità è dello stato ed oggettiva. La legge Pinto ha tentato, responsabilizzando anche ingiustamente e sempre i magistrati, di disincentivarli dal riconoscere risarcimenti equi, a causa della responsabilità correlata.
Il problema della responsabilità dei magistrati di ben sette gradi di giudizio/pronunce emerge chiaramente dal caso Morrone, dove c'è stata un'analisi sommaria per alcune prove, mentre altre sono state completamente ignorate. Ad esempio la legge sulla responsabilità dei magistrati non ha prodotto, ad eccezione di una recente pronuncia della Corte d'Appello di Genova, che condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri ad euro 432.000, a favore di Fabio e Silvina Petroni per responsabilità dei magistrati, grandi risultati. Il referendum sulla responsabilità civile dei giudici è stato, di fatto, del tutto disatteso, per non parlare della responsabilità disciplinare. Con la tipizzazione degli illeciti, dalla riforma Castelli, si tenta di responsabilizzare l'organo giudicante.
In conclusione la responsabilità dei magistrati, a tutti i livelli civile, penale, disciplinare, deve costituire una delle principali garanzie del cittadino ad un processo equo, in virtù del principio "nemo super legem" e dell'autonomia della magistratura, ma financo della necessità di un controllo autentico ed effettivo dei controllori. In tal modo il principio di separazione dei poteri determinerebbe un riequilibrio dello strapotere di quello giudiziario.
Ultimo, ma non meno grave, è il problema che emerge dal caso di Domenico Morrone, che riguarda la vita dei detenuti all'interno degli istituti penitenziari, indegna di un paese che si definisce civile.
Anche qui sono i dati statistici che parlano. Al 31/12/2005 erano 59.523 i soggetti reclusi, contro la capienza complessiva di 41.470 detenuti. Attualmente perciò, nelle carceri italiane abbiamo più di 18.000 unità in più. Secondo la stessa statistica un detenuto su tre (37,33%) dice di vivere in condizioni di sovraffollamento intollerabili ed il 52,08% in condizioni non regolamentari, solo il 10,59% ritiene di vivere in condizioni regolamentari. A questo si aggiunga che la qualità della vita in cella è pessima: il 69,31% dei detenuti non ha l'acqua calda in cella, il 60% dorme a fianco del bidet o del water ed il 55,6% vive senza poter accedere ai colloqui in spazi aperti. Tali condizioni costituiscono una pena aggiuntiva a quella che già si sconta.
Il risarcimento del danno chiesto da Morrone, se e quando la sentenza di revisione sarà definitiva, considererà tutto quanto sopra ed oscillerà tra gli otto ed i dodici milioni di euro: c'è un danno esistenziale, biologico, morale e patrimoniale che è incalcolabile.
L'errore giudiziario ha tolto molto a Domenico Morrone: la giovinezza, il lavoro, la donna con cui si doveva sposare ,che per la vergogna lo ha lasciato; non ha potuto assistere la madre che malata, aveva bisogno di lui; oltre ad essere marchiato agli occhi della comunità con l'infamia di un duplice omicidio. Quindi la parte più consistente del risarcimento verterà sul danno biologico ed esistenziale.
La nozione di danno biologico è frutto di elaborazione giurisprudenziale, ma recentemente ha trovato significative conferme a livello legislativo con l'entrata in vigore del D.Lgs 38/2000 e della legge 57/2001 ed è costituito dalla compromissione, di natura reddituale, dell'integrità psicofisica della persona. Generalmente è ritenuto necessario che a questa compromissione si accompagni una perdita o riduzione di funzioni vitali, anche non definitiva.
La Corte Costituzionale dalla sentenza 372/94 in poi, identifica il danno biologico in un processo patogeno che porta ad un trauma fisico o psichico permanente, accettabile da un punto di vista medico - legale. Esso si concreta in una lesione dell'integrità psico - fisica, che bene si presta ad accertamenti medico - legali e la quantificazione avviene sulla base di criteri tabellari.
Il danno esistenziale si pone su un piano diverso: si distingue dal danno morale perchè non consiste in uno stato di sofferenza momentanea, e dal danno biologico perchè non attiene al profilo dell'integrità psico - fisica del soggetto leso; così come si distingue chiaramente dal danno patrimoniale in quanto può sussistere a prescindere da qualsiasi compromissione del patrimonio.
Ricostruito in positivo, esso consiste nel danno legato al peggioramento della qualità della vita derivante dalla lesione di un diritto fondamentale della persona costituzionalmente garantito. A tal proposito va evidenziato che Domenico Morrone, prima dell'arresto, stava per formarsi una famiglia e svolgeva l'attività di pescatore, con numerosi progetti per il futuro. Oggi si ritrova senza una moglie, la possibilità di avere figli e disoccupato, senza aver maturato i contributi per fini pensionistici.
Con la sentenza n. 2050 del 22 gennaio 2004, la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto la risarcibilità di danni patrimoniali e non patrimoniali ad un cittadino ingiustamente condannato per errore giudiziario, con una scarcerazione superiore ai sette anni. Essa ha precisato che "Il danno esistenziale è cosa diversa dal danno biologico e non presuppone alcuna lesione fisica o psichica, nè una compromissione della salute della persona , ma si riferisce ai già indicati sconvolgimenti delle abitudini di vita e delle relazioni interpersonali provocate dal fatto illecito.
Il danno esistenziale sta vivendo un fortunato sviluppo in seguito alle note sentenze gemelle della Suprema Corte n. 8827/2003 e 8828/2003 ed alla pronuncia del Giudice delle leggi, dove è stato definito come un danno a valori della persona, diversi dalla salute.
Esso sarebbe una categoria risarcitoria dove far convergere tutti i diritti costituzionalmente garantiti attinenti alla persona umana, in quanto nascerebbe da una lettura combinata dell'art. 2059 c.c. con i principi della stessa Costituzione; la stessa giurisprudenza penale, poi, sarebbe del medesimo avviso, tanto che ha ritenuto di considerare il danno da ingiusta detenzione come un danno esistenziale perchè, appunto, vi sarebbe stato un danno lesivo di un diritto costituzionale come la libertà personale, tenendo presente anche che la suddetta tipologia di danno si riferisce agli sconvolgimenti delle abitudini di vita e delle relazioni interpersonali provocate dal fatto illecito.
La dottrina che si è occupata dell'argomento, ha avuto modo di precisare che, in fondo, il danno esistenziale sarebbe un "non fare", o meglio un "non poter più fare", un "dover agire altrimenti", un "relazionarsi in altro modo", diversamente dal danno morale che riguarderebbe un "sentire": il danno esistenziale, pertanto, riguarderebbe proprio le attività realizzatrici della persona umana, per cui ogni illecita compressione ovvero limitazione ne dovrebbe imporre il risarcimento, soprattutto alla luce dell'art. 2 Cost.
Se la Costituzione garantisce taluni diritti a livello "esistenziale", è necessario trovare un riscontro applicativo nel codice civile, nell'ambito delle responsabilità, al fine di non individuare un vulnus nella stessa Carta Fondamentale, riducendola a mero dato letterale e astratto; in questa prospettiva di interpretazione concreta, allora, il riscontro applicativo sarebbe individuabile nell'art. 2059 c.c.
A differenza del biologico, tale voce di danno sussiste indipendentemente da una lesione fisica o psichica suscettibile di accertamento e valutazione medico legale; rispetto al morale, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima, non consiste in una sofferenza od in un dolore, ma nella rinuncia ad una attività concreta; diversamente dal patrimoniale, prescinde da una diminuzione della capacità reddituale.
Per inciso, l'esigenza sottesa alla creazione del danno esistenziale non era certo cosa nuova.
Secondo un calcolo compiuto dall'istituto di ricerca Eurispes1 nell'arco degli ultimi cinquant'anni sarebbero 4 milioni gli italiani vittime di svariati errori giudiziari ed ingiuste detenzioni, dichiarati colpevoli, arrestati e solo dopo un tempo più o meno lungo, rilasciati perchè innocenti. Un dato che al ministero di Giustizia non confermano, e che è stato ricavato da un'analisi delle sentenze e delle scarcerazioni per ingiusta detenzione nel corso di cinque decenni.
Dal '92 c'è la possibilità per gli innocenti ritenuti colpevoli e poi rimessi in libertà, di chiedere e ottenere un risarcimento per in giusta detenzione. Negli ultimi anni, rivela il rapporto Eurispes, basato sulle cifre fornite dal ministero del Tesoro, i casi di indennizzi concessi sono in continuo aumento: erano 197 nel '92, 360 nel '93, 476 nel '94. Fino ai 738 del '99 e ai 1.263 del 2000. Nel '99 i risarcimenti hanno superato i 14 miliardi di vecchie lire, quasi il triplo rispetto al '92.
Da tutto ciò non può che derivare una sempre più pressante necessità di riforma del pianeta giustizia, perchè non vi siano altri Domenico Morrone che debbano rischiare di morire colpevoli benchè innocenti.

Avv. Clauio Defilippi